Contesto del settore
La scarsità e l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia per le produzioni, insieme all’enorme impatto ambientale che fa del tessile uno dei settori più inquinanti al mondo, rende oggi quanto mai urgente il passaggio da Economia Lineare a Economia Circolare puntando al riuso e al riciclo.
Nella gerarchia della Strategia Europea per il Tessile Sostenibile al secondo posto dopo la RIDUZIONE e prima del RICICLO troviamo il RIUSO, ovvero il dare una nuova vita a un prodotto che ha completato il suo scopo primario, senza che questo sia trasformato.
Nonostante l’attenzione delle Istituzioni e gli studi di settore si siano focalizzati in questi anni soprattutto sul riciclo, è bene ricordare infatti che il vantaggio ambientale ed economico derivante dal riutilizzo è di gran lunga superiore ed
estendere la durata di un capo di appena nove mesi riduce le impronte di carbonio, di rifiuti e di acqua di circa il 20-30% ciascuna e diminuisce i costi delle risorse del 20%.
La maggior parte dei benefici deriva dall’evitare del tutto i processi produttivi, dalle materie prime alle operazioni che avvengono lungo la supply chain.
In questo contesto un’efficace selezione degli indumenti usati che riesca a separare correttamente ciò che può essere riutilizzato da ciò che può invece essere destinato al riciclo o alla termovalorizzazione è un anello fondamentale per la filiera circolare.
Per far sì che il riutilizzo del tessile avvenga nel modo corretto sono necessarie regole per l’eco design ma anche, nell’immediato, leggi chiare per la filiera di chi è chiamato a raccogliere e selezionare il rifiuto tessile urbano.
Ad oggi c’è ancora molta confusione in materia a partire dal fatto che molti continuano a pensare che mettere i propri abiti usati nei cassonetti gialli sia una donazione per i poveri quando si tratta di vero e proprio conferimento di rifiuto così come avviene per altri materiali.
Con l’introduzione dell’EPR (Responsabilità Estesa del Produttore) del tessile che è attesa a breve si dovrà necessariamente mettere ordine alle normative per renderle omogenee a livello europeo e lavorare in ottica di trasparenza e tracciabilità.
Diversamente dagli altri materiali, la raccolta del rifiuto tessile non viene fatta in ottica di riciclo ma di riutilizzo e la filiera si auto sostiene con la vendita ai mercati del second hand in Europa ma soprattutto all’estero, Africa in primis.
Le aziende della selezione acquistano rifiuti tessili urbani da raccoglitori e cooperative prevalentemente europee e dopo le varie fasi di selezione e igienizzazione rivendono gli indumenti usati dividendoli per gradi qualitativi che seguono le richieste dei vari clienti. Una parte di quello che viene rivenduto in Europa e soprattutto in India e Pakistan viene invece utilizzato come pezzame o preparato per il riciclo.
Con l’entrata in vigore dell’obbligo di raccolta differenziata e l’aumento dei volumi ad essa collegata è crescente la preoccupazione che il lavoro di selezione possa non essere più in grado di sostentarsi autonomamente. È prevedibile, infatti, che il materiale che arriverà sul mercato dalla RU diventerà qualitativamente sempre più scadente, un percorso purtroppo iniziato già negli ultimi 15 anni come conseguenza del fast fashion e dei materiali poco pregiati che utilizza.
I margini, già molto bassi che permettevano l’auto sostentamento delle aziende potrebbero quindi essere ulteriormente erosi rendendo antieconomica l’attività di selezione e mettendo a rischio imprese e posti di lavoro.
Trattandosi di una selezione manuale fatta da operatori formati ed esperti che non possono essere sostituiti da macchinari – almeno nella parte di selezione destinata al riuso- mettere a rischio posti di lavoro e professionalità non può essere sottovalutata.